martedì 23 novembre 2010

L'alimentazione nell'antica Roma

I romani dividevano normalmente la loro alimentazione in tre pasti quotidiani che agli inizi erano chiamati jentaculum, cena, vesperna e quando quest'ultima sparì, fu sostituita dal prandium
Alcuni anziani seguivano l'ordine dei tre pasti perché così avevano loro consigliato i medici come a Plinio il vecchio sempre molto frugale e a Galeno che prendeva un jentaculum verso l'ora quarta. I soldati siaccontentavano di un prandium verso mezzogiorno. Marziale ci descrive il suo jentaculum costituito da pane e formaggio, mentre il prandium consisteva in carne fredda, verdura, frutta e un bicchiere di vino miscelato con acqua.
Ancora più limitato il jentaculum di Plinio il Vecchio a cui seguiva una merenda per prandium  il tutto senza apparecchiare e senza doversi lavare le mani.
Per la maggioranza dei romani prima di correre al lavoro la prima colazione era ancora più semplice: un bicchiere d'acqua o qualcosa rimasto dalla cena della sera prima e quanto al prandium i poveri e la plebe certo non tornavano in casa per desinare ma il più delle volte mangiavano nelle tabernae dove si potevano mangiare con pane plebeo piatti semplici consistenti in uova sode, formaggio, legumi e bere vino mescolato con acqua calda d'inverno o fredda d'estate. Si usava insaporire i cibi con il garum, una salsa a base di pesce fermentato che si spalmava dappertutto ma specialmente sulle insipide focacce di cereali. 
Per tutti il pasto principale era quindi la cena, che molti immaginano come uno sfarzoso banchetto ma che in realtà, salvo quelli che potremo considerare come ricevimenti particolari, era per i più altrettanto frugale come i primi due pasti.
La cena di solito terminava prima che fosse notte fonda, fatta eccezione per i grandi banchetti: quelli di Nerone ad esempio si prolungavano da mezzogiorno sino a mezzanotte, il festino di Trimalcione non finiva prima dell'alba, e i gaudenti, indicati alla pubblica riprovazione da Giovenale, s'ingozzavano sino «al sorger di Lucifero nell'ora che i duci movean le schiere in campo».
I fastosi banchetti erano una forma di ostentazione della ricchezza delle classi agiate che tramite le cene conseguivano notorietà.
Di solito si curava particolarmente l'allestimento del banchetto attraverso effetti scenografici, ad esempio con fiori e giochi d'acqua che esaltassero la magnificenza dei cibi offerti agli invitati. Per una cena offerta da Nerone, racconta Svetonio, vennero spesi per la sola decorazione floreale oltre quattro milioni di sesterzi.
Alla cena, nella casa dei più ricchi era riservata una stanza particolare: il triclinium, di solito lunga il doppio della sua larghezza, che prendeva il nome dai letti a tre posti (triclinia) dove si stendevano i commensali. Nei tempi passati le donne erano destinate a sedere ai piedi del marito ma in età imperiale le matrone romane hanno acquisito il diritto al triclinio mentre ai ragazzi erano destinati degli sgabelli di fronte al letto dei genitori. Gli schiavi solo nei giorni di festa potevano essere autorizzati dal padrone all'uso del tricliniom, che quindi era collegato non solo alla comodità, piuttosto relativa per le nostre abitudini, ma che soprattutto veniva considerato un segno di benessere e distinzione sociale.
Solo i campagnoli, gli stranieri di passaggio a Roma o i clienti di osterie e alberghi mangiavano seduti: il vero romano non avrebbe mai rinunciato al triclinio tanto che l'austeroCatone l'Uticense, per il dolore provato dalla sconfitta dell'esercito del senato a Farsalo, giurò di mangiare seduto sino a quando non fosse finita la tirannide di Cesare
L'assegnazione dei posti nei letti era prevista da una rigorosa etichetta che prevedeva che il personaggio più illustre sedesse nel lectus medius, al posto consularis, il più importante, accanto all'invitato meno ragguardevole che trovava posto nel lectus imus. Di solito i letti erano tre con al centro una tavola quadrata o circolare: i commensali sedevano di sghembo con il gomito sinistro appoggiato su cuscini e i piedi, senza scarpe e lavati, nella parte più bassa del triclinium.
Un maggiordomo annunciava gli invitati mano a mano che arrivavano alla cena e assegnava loro il posto stabilito. I servitori disponevano le varie portate sulla tavola ricoperta da una tovaglia: uso questo iniziato dall'età di Domiziano in poi, precedentemente si lavava di volta in volta la superficie in marmo o legno della tavola.
Gli invitati avevano a disposizione coltelli, stuzzicadenti dal doppio uso con un piccolo cucchiaino a forma di manina ad una estremità che veniva usato per pulirsi le orecchie, e cucchiai di varia forma. Niente forchette, che non erano conosciute, per cui era necessario lavarsi frequentemente le mani tra una portata e l'altra: compito assolto da servi che versavano acqua profumata da anfore e fornivano un tovagliolo per asciugarsi le mani. Tovagliolo che avevano anche i commensali che per lo più se lo portavano via al termine della cena con le pietanze che erano avanzate.
Il banchetto prevedeva almeno sette portate: si cominciava con gli antipasti (gustatio) poi tre primi piatti, due arrosti e il dolce (secundae mensae).
In questi grandi ricevimenti quello che importava non era soltanto l'abbondanza e la qualità dei cibi offerti ma anche la loro presentazione scenografica necessaria per stupire i commensali ma che comportava una mescolanza di cibi spesso incompatibili tra loro e dannosi per la salute. Tipico caso è l'episodio di Trimalcione che durante il banchetto, si scusa con gli invitati perché è costretto ad assentarsi per fastidiosi disturbi di stomaco che il medico non è riuscito ancora a guarire. L'eccessiva elaborazione dei piatti portava conseguenze dannose per la salute dei più ricchi spesso malati di obesità, gotta, e calcolosi. 
Il vino bevuto dai romani nei tempi antichi doveva consistere in una specie di mosto fermentato ma già alla fine della Repubblica si cominciò a mescolare diverse qualità di uve migliorandolo nel sapore. È soprattutto nel periodo imperiale che si comincia ad importare vini dalla Grecia che si mantenevano più a lungo perché miscelati con acqua di mare, argilla o sale che però secondo Plinio il Vecchio sono in questo modo nocivi per la salute dello stomaco e della vescica.
Il vino, mescolato a resine e pece, era conservato in anfore chiuse con tappi di sughero o di argilla munite di una targhetta che ne indicava l'annata e la denominazione. Pochi erano quelli che potevano bere il vino puro e venivano considerati come sregolati ubriaconi mentre normalmente il vino veniva servito filtrato con un colino e mescolato con acqua in una grande coppa, il cratere, da cui poi ognuno si serviva.
Un banchetto degno del suo nome non poteva non essere accompagnato da intermezzi in cui si esibivano in danze scollacciate, per cui erano celebri, le donne di Gades che ballando a suon di nacchere lasciavano poco all'immaginazione degli invitati che nel frattempo favorivano la digestione lasciandosi andare, poiché non bisogna contrastare la natura, a rutti e, ottemperando al ridicolo decreto dell'imperatore Claudio, all'emissione di gas di altra specie. Si arrivava addirittura a servirsi durante il banchetto di appositi vasi per bisogni più consistenti.
Nei grandi banchetti, quando ormai gli invitati sono pieni di cibo sino agli occhi, vi è poi una seconda parte secondo la tradizione della commissatio. Già durante la cena si era bevuto abbondantemente vino con miele e successivamente vino miscelato con acqua.
La cerimonia che poneva fine al banchetto, prevedeva che si bevessero d'un fiato una serie di coppe così come prescriveva chi presiedeva la commissatio . I convitati disposti in cerchio a partire dal più importante bevevano passandosi la coppa e brindando, oppure veniva scelto un invitato a cui tutti bevendo brindavano con tante coppe quante erano le lettere che componevano i suoi tria nomina di cittadino romano.
Non tutti però ricevevano questo sontuoso trattamento com'è descritto nella cena di Trimalcione. Era usanza piuttosto diffusa che il padrone di casa per darsi importanza invitasse un gran numero di convitati ma che riservasse a sé e a scelti commensali il cibo e i vini migliori mentre agli altri somministrava un vino di pessima qualità, pane raffermo, cavoli lessati, gli avanzi di una gallina coriacea e per frutta una mela mezza marcia.

Per sintetizzare la loro alimentazione:
  • Principalmente mangiavano radici, cipolle, cavoli, lattuga, porri tritati, fave, ceci, lupino, sesamo e cereali.
  • Con il frumento facevano semole e farina, spesso consumate sotto forma di pappe
  • Il pane non veniva fatto tutti i giorni e assomigliava a delle gallette
  • Si mangiava spesso pesce di mare conservato sotto sale. La carne, rara, era riservata ai ricchi e a quelli che potevano cacciare.
  • Preferivano vivande bollite e morbide, budini, cibi tritati accompagnati da molta salsa
  • Andavano pazzi per le erbe aromatiche e per il pepe e le spezie
  • Aggiungevano dappertutto del garum, un tipo di salsa a base di pesce fermentato.

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