giovedì 21 ottobre 2010

Farina: forza e caratteristiche

spiga-100.jpgIl grano, o frumento, tenero (Triticum aestivum) è originario del medio oriente. La sua farina è alla base di moltissime preparazioni: pane, pizze, focacce, torte, brioches, biscotti, dolci lievitati e così via.
I più grandi produttori di grano tenero (fonte FAOstat) sono Cina, India, Usa e Russia. L’Italia nel 2007 era al 19° posto e non essendo autosufficienti importiamo il 70% del frumento che consumiamo. Siamo invece al secondo posto dietro il Canada come produttori di grano duro, che usiamo principalmente per produrre pasta, ma anche in questo caso siamo costretti a importarne il 40%. La superficie coltivata a grano, sia duro che tenero, in Italia è diminuita negli ultimi 20 anni

Classificazione delle farine

cariosside-grano-1.jpgQui potete vedere una rappresentazione grafica di un chicco di grano o, più precisamente, di una cariosside. La buccia esterna, i tegumenti, costituisce la crusca. Abbiamo poi il germe o embrione e infine l’endosperma, cioè la parte che, contenendo l’amido e le proteine che formano il glutine, più ci interessa. Nella produzione della farina il chicco viene privato del germe e dell’involucro esterno. L’endosperma viene poi rotto e macinato in fasi  successive per produrre una farina del tipo desiderato. Poiché la crusca è più ricca di minerali mentre l’endosperma, ricco di amido, ne contiene molti meno,la legge italiana ha deciso di classificare le farine in commercio in base ai sali minerali. O meglio, vengono classificate in base alle ceneri, cioè a quello che rimane dopo aver bruciato la farina (i minerali e i loro ossidi non bruciano). Più è basso il contenuto di ceneri, più la farina è stata prodotta con il solo endosperma, e più è bianca. La farina “integrale” avrà invece il massimo contenuto di ceneri perché tutto il chicco è stato utilizzato e sarà più scura. Nell’industria molitoria di parla di abburattamento, cioè della percentuale di farina estratta da un chicco. La “resa” insomma. L’analisi delle ceneri di una farina è quindi una misura dell’abburattamento ottenuto. La legge italiana classifica le farine di grano tenero nei tipi 00, 0, 1, 2 e integrale.
La farina di grano tenero è composta per la maggior parte da amido (64%-74%) e proteine (9%-15%), principalmente glutenina e gliadina. Queste, a contatto con l’acqua e per azione meccanica, si legano fra loro e formano un complesso proteico chiamato glutine, creando una specie di maglia elastica. Il glutine assorbe una volta e mezzo il suo peso in acqua, e durante la lievitazione trattiene l’anidride carbonica sviluppata dal lievito. La percentuale relativa di gliadine e glutenine determina le proprietà dell’impasto: le glutenine lo rendono tenace ed elastico mentre le gliadine lo rendono estensibile.
Tipo di Farina
Umidità max
Ceneri min
Ceneri max
Proteine min
Abburattamento
00
14.50%
0.55%
9.00%
50%
0
14.50%
0.65%
11.00%
72%
1
14.50%
0.80%
12.00%
80%
2
14.50%
0.95%
12.00%
85%
Integrale
14.50%
1.30%
1.70%
12.00%
100%
Verificare la qualità della farina e le sue proprietà nella fase di impasto, lievitazione e cottura non è una cosa semplice. A questo scopo nei molini vengono ormai effettuate tutta una serie di misure chimiche e fisiche per classificare al meglio le farine prodotte.
Guardate ad esempio questa scheda tecnica di una farina.
dati-farina.jpg
Che cosa sono tutti quei dati? 

Il Farinografo

Negli anni ’30 venne inventato il Farinografo di Brabender per registrare graficamente, su carta tramite un pennino mobile, la fase dell’impasto della farina con l’acqua. Nel Farinografo la miscela acqua e farina viene impastata meccanicamente e viene misurata la resistenza opposta dall’impasto in funzione del tempo.
farinogramma-1.jpg
Il farinogramma ottenuto è utile per misurare la percentuale ottimale di acqua da aggiungere alla farina per avere la giusta consistenza, il tempo di sviluppo dell’impasto (diciamo il tempo minimo di lavorazione necessario per sviluppare al meglio il glutine), la sua stabilità (quanto tempo di lavorazione può sopportare prima di iniziare la fase di rammollimento), e l’indice di caduta (in quanto tempo l’impasto perde la sua consistenza). Farine di bassa qualità non reggono più di 3 minuti di impastamento mentre farine di qualità eccellente possono reggere anche tempi di impasto superiori ai 10 minuti. La farina descritta sopra nella figura assorbe dal 55% al 57% di acqua e ha un tempo di stabilità tra gli 8 e i 15 minuti. Tempi di lavorazione più lunghi hanno come risultato il rammollimento dell’impasto.

L’alveografo

alveo-1-300.jpgUn altro apparecchio, l’Alveografo di Chopin, inventato nel 1921 da Marcel Chopin, fornisce un indice che viene ormai comunemente utilizzato da panificatori professionisti e, ultimamente, anche dagli amatori: W, spesso un po’ impropriamente chiamato forza della farina.
Nell’alveografo viene soffiata dell’aria nel centro di un disco di pasta di peso e idratazione standard per produrre una bolla, in modo da simulare l’effetto della lievitazione, e misurare la capacità dell’impasto di trattenere il gas. Sotto l’effetto della pressione dell’aria insufflata la bolla si espande sino a rompersi. Il risultato di questa prova è un Alveogramma, che riporta un grafico della pressione (P) in funzione dell’estensione (L) della bolla di impasto.
Dall’area sottesa alla curva si può calcolare l’energia totale spesa per rompere l’impasto. Questa energia viene indicata con W (è il simbolo del lavoro, per questo dicevo che è un po’ improprio chiamarla “forza”) e rappresenta un indice globale di comportamento della farina. Qui sotto vedete, in giallo e in blu, due alveogrammi tipici.
alveogramma-550.jpg
Il massimo della curva identifica P, che rappresenta la tenacità del glutine, mentre L rappresenta l’estensibilità: più è elevata e più l’impasto è estensibile.
Ai fini pratici questi due parametri vengono combinati, dividendoli tra loro, per calcolare l’indice P/L. Il valore di riferimento è di 0.5. Una farina per biscotti avrà un valore di W e di P/L bassi (ad esempio W=100 e P/L = 0.4) mentre una farina per prodotti lievitati avrà W e P/L alti (ad esempio W=350 e P/L=0.6). Un valore di P/L troppo alto indica una farina troppo resistente e poco estendibile, di difficile lavorazione. Al contrario, un P/L troppo basso indica una farina poco resistente e troppo estendibile
Farine con W tra 90 e 160 sono dette ‘farine deboli’. Hanno un basso contenuto proteico, solitamente 9%, e vengono  utilizzate per produrre biscotti secchi o gallette. Farine con W compreso tra 160 e 250 hanno una forza media. Sono usate ad esempio per il pane pugliese o quello francese, per impasti diretti o lievitazioni brevi, per pizze e focacce.
forza-farina-schema-2.jpg
(Grafico tratto dal corso di tecnologia dei cereali del Prof. Franco Antoniazzi dell’Università di Parma)
In generale più un prodotto richiede lievitazioni lunghe più serve una farina con un W elevato, in modo da trattenere meglio l’anidride carbonica prodotta nella fermentazione. Il glutine è in grado di assorbire acqua per una volta e mezza il suo peso, quindi più è forte la farina e più è alta la sua idratazione. Si passa da una idratazione inferiore al 50% per le farine da biscotti sino a valori superiori al 70% per farine forti.
Farine con un alto W vengono chiamate “farine di forza” perché oppongono una grande resistenza alla deformazione del glutine. Con W tra 250 e 310 si ottengono pani come biove o baguettes.  Valori di W tra 310 e 370 si usano per pani particolari o prodotti a lunga lievitazione come panettoni, brioches e croissant. Esistono anche farine con valori di W superiori a 400, denominate Manitoba perché originarie di quella regione del Canada. Vengono denominate Manitoba anche se il grano corrispondente è ormai coltivato anche in Europa. Hanno un alto contenuto proteico e vengono spesso utilizzate in miscela con farine più deboli per aumentarne la forza.
Purtroppo i valori di W di una farina, disponibili sui sacchi per uso professionale e sui siti web dei molini, non sono riportate nelle confezioni ad uso casalingo, e ci si deve accontentare del contenuto proteico: grossolanamente più proteine sono presenti più è forte la farina, a parità di tipo di farina (00, 0 etc…). La farina integrale contiene più proteine, provenienti dal germe e dalla crusca, tuttavia non sono tutte proteine che producono il glutine. È per questo che panificare con la farina integrale é più complicato.
Volendo preparare dei biscotti dobbiamo evitare che si formi il glutine, quindi dobbiamo usare delle farine deboli, a basso contenuto proteico e molto estensibili. Alcune preparazioni prevedono percentuali di proteine molto basse, attorno al 7%, ed è per questo che la farina (il cui contenuto proteico è come minimo il 9% per legge) viene miscelata a dell’amido e il prodotto venduto come “preparazione per torte e dolci”.
Per prodotti lievitati invece abbiamo bisogno di farine forti. Più é forte una farina e più è lunga la lievitazione, e ricordate che il volume finale del prodotto è correlato al contenuto proteico della farina.
Qui sotto potete vedere una tabella riassuntiva di massima (sempre presa dal corso di Tecnologia dei Cereali del Prof. Franco Antoniazzi, dell’Università di Parma)
W P/L Proteine Utilizzo
90/130 0,4/0,5 9/10,5 Biscotti ad impasto diretto
130/200 0,4/0,5 10/11 Grissini, Crackers
170/200 0,45 10,5/11,5 Pane comune, Ciabatte, impasto diretto, pancarré, pizze, focacce, fette biscottate
220/240 0,45/0,5 12/12,5 Baguettes, pane comune con impasto diretto, maggiolini, ciabatte a impasto diretto e biga di 5/6 ore
300/310 0,55 13 Pane lavorato, pasticceria lievitata con biga di 15 ore e impasto diretto
340/400 0,55/0,6 13,5/15 Pane soffiato, pandoro, panettone, lievitati a lunga fermentazione, pasticceria lievitata con biga oltre le 15 ore, pane per Hamburgher


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